Intervista a Beppe Scienza nell'articolo di Giacomo Galeazzi e Ilario Lombardi del 26-4-2016 su La Stampa on line
Per qualcuno sono un’opportunità, per altri una fregatura. Nel panorama previdenziale italiano, i fondi pensione sono una relativa novità. In un Paese sempre più anziano e con una grande incognita sulla tenuta dell’Inps, crearsi un tesoretto integrativo sembrerebbe una soluzione scontata. Tanto che a spingere sulla previdenza complementare ormai sono tutti, aziende, sindacati e lo stesso Inps. A fine 2015, secondo la Covip, la commissione di vigilanza del settore, le adesioni sono 7,3 milioni, con un aumento annuo del 13,4% (+860 mila). Più di tutti crescono i fondi negoziali (o chiusi), riservati a specifiche categorie di lavoratori secondo accordi siglati con i rappresentanti aziendali: in un anno ci sono stati 530 mila nuovi iscritti, pari al + 27,3%, la quasi totalità dei quali dovuti a un motivo preciso. E cioè: il meccanismo di adesione automatica al fondo di settore “Prevedi” stabilito dal contratto degli edili.
QUALI SONO I RISCHI
Beppe Scienza, docente dell’Università di Torino, ha dedicato gli ultimi anni della sua attività accademica a smontare quello che lui considera «un mito illusorio» e un «tradimento dei pensionati»: «Fondi chiusi o aperti e Piani individuali previdenziali (Pip) sono tutti prodotti potenzialmente tossici con parecchie criticità evidenti. La prima è l’assenza di trasparenza: il lavoratore non sa nel dettaglio in quali azioni e obbligazioni vengono investiti, non sa cosa sia stato comprato e venduto e a che prezzo». E’ il mercato, la logica del risparmio gestito che guida la finanza globale. «I fondi pensione possono avere quote di fondi comuni, anche esteri. Lo stesso gestore vede solo le quote dei fondi comuni sottoscritti, e neppure lui sa cosa viene scambiato». La struttura di gestione dei fondi chiusi prevede che metà degli amministratori e dei controllori sia nominato dai datori di lavoro: «Assurdo, perché i soldi sono dei lavoratori, anche se una parte è versata dalle aziende».
LE REGOLE ITALIANE
La normativa italiana è più rigida che altrove e fissa al 20% la quota di titoli dell’azienda, o del settore del lavoratore, che può essere acquistata dal fondo. «Ma in situazioni di crisi dei mercati, il rischio è comunque alto e chi si è affidato a un fondo può vedere il proprio capitale perdere in potere d’acquisto». Il caso che Scienza cita sempre, anche ai suoi studenti, è quello della Enron: i fondi pensioni avevano in pancia azioni della multinazionale statunitense che al momento del suo crollo sono diventate carta straccia.
IL CASO COMETA
In Italia, un simile esempio, in piccolo, riguarda Cometa, il fondo integrativo dei metalmeccanici. Francesco Dainin, 56 anni, responsabile tecnico di reparto di un’azienda di cosmetici del Varesotto versa i suoi contributi a questo fondo sin dalla sua fondazione. «Ma – racconta – ho scoperto che la mia azienda non dà il suo contributo dal 2010. In pratica avrebbero dovuto versarmi 20 mila euro e non lo hanno fatto. I sindacati interni ci avevano assicurato che avrebbero chiesto un piano di rientro ma non è avvenuto». Alla fine, Dianin si è rivolto all’avvocato Roberta Vegetti, esperta di previdenza integrativa, e ha ottenuto con un accordo privato che in sei mesi gli venga restituito quello che non gli è stato versato in sei anni. Adesso sta conducendo una trattativa sugli interessi. «Non c’è sufficiente trasparenza su questi fondi. Nessuno dell’azienda, che è in crisi dal 2008, ci ha mai comunicato niente, neanche un messaggio in bacheca».
LA VERSIONE DEI SINDACATI
I sindacati sanno di essere i primi a dover dare spiegazioni ai propri iscritti. Da anni hanno superato la loro iniziale contrarietà ai fondi pensione. Anzi, spiega Ivan Pedretti, segretario generale dello Spi, i pensionati della Cgil, «è ormai necessario affiancare la previdenza complementare a quella ordinaria, per assicurare una pensione dignitosa, soprattutto ai giovani». Pedretti propone anche una formula compartecipata con il gestore pubblico: «Potrebbe essere l’Inps a governare questi fondi. E visto che dentro ci sono anche le aziende, si può pensare di usarli a sostegno della imprese in difficoltà».