Difficoltà per i consumatori, perdite per i risparmiatori. Queste le conseguenze più evidenti della ripresa dell’inflazione. Ma a certuni invece è convenuta o può convenire? Prescindiamo da casi particolari, come un commerciante che abbia fatto grosse provviste prima dei successivi rincari.
Strutturalmente un periodo di alta inflazione fa gioco a qualcuno? Per rispondere abbiamo un precedente significativo, quando negli anni ’70-80 l’inflazione fu manna caduta dal cielo per una categoria di persone, non esigua. Ovvero quanti avevano comprato un immobile, in genere la prima casa, con un mutuo magari trentennale, allora regolarmente a tasso fisso. Nei dettagli la vicenda è più complessa, ma nella sostanza uno si trovava ad esempio a inizio 1974 con una rata pari al 30% del suo stipendio. Dopo dieci anni i prezzi si erano quasi quintuplicati (+380%), lo stipendio più o meno adeguato, ma la rata era rimasta invariata. E così pesava più solo sul 6% del suo stipendio. Nel frattempo aveva pagato interessi per il mutuo, ma a un tasso bassissimo rispetto a quelli di mercato e all’inflazione.
Contraltare di tali vantaggi furono le perdite dei sottoscrittori delle famigerate cartelle fondiarie del San Paolo di Torino, della Cariplo, del Banco di Napoli ecc. emesse a fronte dei mutui erogati. Le banche, o meglio le sezioni di credito fondiario, raccoglievano soldi con obbligazioni per esempio al 6%, concedendo mutui all’8%. Inflazione e impennata dei tassi fece crollare quei titoli fino a 60 lire su cento di valore nominale.
I risparmiatori inveivano contro le banche, vedendo calpestate le promesse di riacquistarle sempre a 100. Garanzie farlocche, come tutte quelle a voce di banche o reti porta a porta. Nella fattispecie però a guadagnarci molto, non erano state esse, bensì i titolari dei mutui, per altro senza meriti né colpe. La casa mezza regalata a loro insaputa.
Qualcosa di analogo si ripeterà per chi ha ora un mutuo? Sì, se l’inflazione continua, perché prima o poi salari e stipendi recupererebbero. E ciò vale anche per i mutui a tasso variabile, finché i tassi cui sono indicizzati restano inferiori all’inflazione, come tuttora è.
Lo stesso discorso non vale invece per chi ha i prestiti cosiddetti personali, appoggiati a carte di credito o peggio ancora revolving, perché lì paga interessi iugulatori, facilmente superiori all’inflazione.
C’è però qualcun altro o meglio qualcos’altro cui conviene l’inflazione. È il debito pubblico. Un indicatore della salute della finanza di uno Stato è il rapporto fra debito e prodotto interno lordo (Pil). E l’inflazione gonfia nominalmente il Pil, ma non il debito, essendo relativamente pochi i titoli a essa indicizzati quali i Btp-i e Btp Italia. Quindi di per sé l’inflazione riduce il rapporto debito/Pil. Ma ovviamente ciò non basta con una recessione economica oppure buone dosi di finanza allegra o clientelare.
Beppe Scienza