Articolo sul Fatto Quotidiano del 30-5-2016 pag. 22
Nell'ambito della finanza ci si imbatte spesso in argomentazioni speciose sui vantaggi dell'investimento azionario. Molti sono infatti i soggetti cui conviene, a fini leciti o truffaldini, spingere i risparmiatori in tale direzione.
L'ultima trovata, insidiosa perché alquanto convincente, è che i bassi tassi d'interesse di titoli di Stato e obbligazioni siano un motivo valido per spostarsi dal reddito fisso alla Borsa. Anche questa è una frottola. Ma non solo perché con le azioni uno rischia comunque di rompersi l'osso del collo, se incappa in un pesante crac borsistico. È proprio falso che in concomitanza di un costo del denaro intorno allo zero ci si debba aspettare dall'investimento azionario buoni rendimenti
Questa è un'invenzione costruita a tavolino negli uffici commerciali dell'industria del risparmio gestito (e ovviamene gradita agli imprenditori, per drenare capitali per aziende decotte). Tale tesi è infondata a breve, a medio e anche a lungo termine. È molto istruttivo, anzi conclusivo, il caso del Giappone, perché si tratta dell'unico precedente significativo di tassi d'interesse bassissimi per un ampio arco temporale. Nel periodo 1990-2015 il suo tasso di sconto è sceso in breve al 2%, poi sotto l'1% e anche i titoli decennali non rendono quasi nulla.
Ebbene, cos'ha combinato in questo quarto di secolo la Borsa di Tokio? Pur conteggiando i dividendi, ha perso il 25,5% (indice Topix). Invece i titoli di Stato hanno prodotto un risultato positivo. Già questo basta a liquidare la teoria che i tassi bassi siano di per sé una ragione valida per spostarsi dalle obbligazioni alle azioni.
Gli Stati Uniti d'America insegnano poi che non vale neppure il contrario, cioè che tassi più alti siano esiziali per le azioni. Da fine 1990 a fine 2000 quelli della loro banca centrale hanno viaggiato mediamente al 5% e l'indice azionario Standard & Poor's, dividendi compresi, è quadruplicato: da 367,6 a 1837,4.
Le azioni convengono di sicuro non ai risparmiatori, bensì ai gestori, ai venditori di fondi ecc. Ecco perché se n'inventano sempre una per indirizzarli verso la Borsa. Infatti ci guadagnano di più (provvigioni, commissioni ecc.), rifilandogli prodotti con contenuto azionario. Non che questi comportino maggiori costi a carico della società di gestione, compagnia d'assicurazione ecc. Anzi, il gestore andrebbe pagato semmai meno, essendogli richieste meno competenze tecniche che a un gestore obbligazionario.
La vera spiegazione è che l'investimento azionario è soggetto a guadagni o perdite molto maggiori. Così a fronte, ad esempio, di una salita delle Borse in un anno del 21% o anche di un crollo del 23%, è facile raschiare via al cliente il 2-3% senza che la cosa gli salti agli occhi.
Beppe Scienza