Tornano in auge i conti deposito, che in pratica sono conti in banca che danno un interesse abbastanza significativo, soprattutto se vincolati. Quasi tutti i quotidiani e settimanali li consigliano e sicuramente le banche gli sono grate. Dietro il loro successo c’è quell’errore che gli economisti chiamano illusione monetaria. Essa consiste nel concentrarsi solo sull’espressione monetaria o nominale delle somme. A parecchi, abituati a interessi nulli o irrisori, un conto che corrisponda il 3% annuo sembra molto buono. E appare fondamentale la sicurezza di non perdere i soldi per il fallimento della banca, grazie all’apposito fondo di tutela, che per altro prescinde del tutto dal potere d’acquisto delle somme in ballo.
Non stupisce che molti risparmiatori ragionino così dopo un decennio molto diseducativo di tassi intorno a zero. La Banca Centrale Europea fissò a quel livello il suo tasso base nel 2012 e due anni dopo addirittura lo portò in area negativa. Ma il contesto era di bassissime variazioni dei prezzi medi, non di rado persino negative.
Da alcuni mesi le cose sono radicalmente cambiate. Rallegrarsi tanto per un tasso del 3%, ma fosse anche del 4%, è semplicistico. In potere d’acquisto significa una netta perdita a fronte di un’inflazione eventualmente più alta, anche se magari inferiore a quella tendenziale attestata in area 10%.
Chi mette soldi in un conto deposito, in particolare vincolato, implicitamente stipula una scommessa contro i rincari dei prezzi. Bisogna che essi si attutiscano molto, perché a conti fatti risulti premiante la scelta del conto deposito rispetto a un Btp indicizzato al costo della vita o equivalenti esteri.
Si veda per esempio il Time Deposit - ma basta con ‘sto inglese inutile! - della Banca del Piemonte al 2,5% annuo per 36 mesi. Molto meglio un Btp Italia di durata simile: ci vuole poco perché lo batta, considerando anche la diversa fiscalità. È sufficiente che l’inflazione media del periodo si attesti sopra l’1,2% annuo; e non dimentichiamo che ora siamo sul 10%. Inoltre è pericoloso accettare il blocco dei propri risparmi per alcuni anni, a volte anche cinque, allettati da un tasso più alto. Ci sono pure conti con vincoli non rigidi, che permettono lo smobilizzo rinunciando agli interessi, che è poi la struttura di alcuni buoni postali. Ma il vero problema resta il confronto con l’inflazione.
Parimenti vittima dell’illusione monetaria è chi si sente rassicurato dai certificati a capitale protetto o soprattutto dalle linee garantite dei fondi pensione. Abile solo nell’illudere lavoratori e risparmiatori, la previdenza integrativa le spaccia per formule sicure in grado di tenere testa al Trattamento di fine rapporto (Tfr). Tutto falso e il 2022 lo ha dimostrato con rivalutazioni del Tfr nell’ordine del 9-10%, incremento non riconosciuto invece ai poveracci intrappolati nei fondi sindacal-aziendali, vittime del silenzio-assenso.