Resta più solo un mese e mezzo per le richieste di rimborso per le azioni e obbligazioni delle banche fallite: le due famigerate banche venete nel 2017 e due anni prima Banca Etruria, Banca Marche ecc. La scadenza per l’istanza al Fondo Indennizzo Risparmiatori (Fir) è il 18 aprile e comunque manca l’ultima puntata. Non è chiara infatti la sorte di chi è fuori dal rimborso automatico, perché il suo reddito o patrimonio mobiliare non è abbastanza basso.
In ogni caso c’è però un problema per gli azionisti. Infatti molti di loro si lamentano perché gli verrà riconosciuto solo il 30% di quanto hanno pagato le azioni. A prima vista sembra poco. Ma è davvero così? Ho voluto approfondire, utilizzando anche confronti e simulazioni elaborati dalla Tokos, società di consulenza finanziaria, e sono venuti fuori alcuni dati interessanti. Per brevità mi concentro sulla Banca Popolare di Vicenza, ragionando sugli ultimi quindici anni, cioè da inizio 2005, e supponendo sempre il reivestimento dei dividendi. Ma la sostanza del discorso non cambia allargando i confronti.
Una prima osservazione è che con molte banche, quotate e non fallite, è andata anche peggio. Rispetto a 100 euro inizialmente investiti gli azionisti di Unicredit si trovano ora con 14,9 euro. Quelli del Banco Popolare con 2,5 euro, partendo però dalla quotazione nel 2007. Col Monte dei Paschi di Siena, la terza banca italiana, la perdita è pressoché totale. Almeno in relativo, i 30 euro del Fir non appaiono poco. Persino gli azionisti di Ubibanca si ritrovano con una perdita nell’ordine del 55% malgrado l’impennata dopo l’offerta d’acquisto da parte di Banca Intesa.
Ma c’è altro. La percentuale di recupero non risale a uno o due mesi fa, dopo la Borsa euforica del 2019. Fu decisa dal Governo a fine 2018, per giunta assediato dai soliti tromboni che bocciavano qualunque ipotesi di indennizzo per gli azionisti.
Cercando un riferimento obiettivo, il più logico era la media delle azioni bancarie italiane. Adottando un tale criterio si arrivava, sempre dal 2005, a una perdita del 74,5% per cui limitarla al 70% appariva addirittura generoso. Per il settore bancario, dopo gli entusiasmi rialzisti di inizio millennio, è stato un disastro generalizzato. Non sarà un mezzo gaudio, ma è un mal comune. E il coronavirus non c’entra nulla.
Parecchi risparmiatori obietteranno che le banche popolari avevano rifilato le proprie azioni, raccontando frottole. Ma questo capita facilmente anche coi fondi, le polizze e i certificati, tanto agli sportelli bancari quanto porta a porta. Ed è un problema molto più ampio.