Il Fatto Quotidiano 5-2-2014 pag. 14
La massa del risparmio gestito degli italiani ha superato i 1.330 miliardi di euro secondo Assogestioni, principale associazione di categoria. La notizia è stata accolta con applausi diffusi dalla stampa, spiegabili con le sue tante dipendenze e connivenze.
È invece opportuna una diversa lettura del dato e del fenomeno in generale. Partiamo da una stima del 2% dei suoi costi medi, espressa da autorevoli studiosi.
Applicando tale percentuale alle consistenze dei soldi gestiti dal 2004 al 2013, arriviamo a un danno complessivo di 224 miliardi di euro nell'ultimo decennio in potere d'acquisto attuale. Infatti nel risparmio gestito i costi (commissioni di ingresso e uscita, di gestione, di movimentazione, di incentivo ecc.) altro non sono che ricchezza sottratta ai risparmiatori.
Lavorando sulle ricerche sui fondi dell'ufficio studi di Mediobanca, limitate a quelli di diritto italiano, si arriverebbe ugualmente a conclusioni spaventose.
Peggio ancora se consideriamo i vent'anni precedenti, per i quali bisognerebbe comunque stimare il danno in misura superiore. Da analisi effettuate (e pubblicate) per es. sui fondi azionari italiani specializzati sull'America e sull'Europa dal 1992 al 2008 risultano minus di gestione del 4,4% annuo medio.
Ma già un 2% significa attualmente circa 25 miliardi di euro l'anno, sottratti ai risparmiatori italiani e convogliati nelle tasche di banchieri, gestori, venditori porta a porta e simili. Impallidiscono al confronto i crac di Argentina, Cirio e Parmalat (2001-2003), responsabili di perdite in Italia stimabili sugli 8,5 miliardi, e anche con Lehman Brothers, banche Islandesi e Grecia arrivaremmo sui 12-13 miliardi in tutto. Fondi e gestioni ne mangiano altrettanti ogni sei mesi. L'espansione elefantiaca del risparmio gestito può anche essere annoverata fra le cause dell'impoverimento del ceto medio.
Ma per fortuna è possibile difendersi, almeno per chi è scampato alle trappole della previdenza integrativa. Dai fondi comuni aperti e dalle gestioni si può uscire e non c'è motivo per non farlo. Né certo è una ragione valida essere in perdita, salvo voler aggiungere danno a danno.