Articolo sul Fatto Quotidiano del 19-3-2018 pag. 18
I bambini sono le nuove prede dell’industria della previdenza integrativa. E sono le prede ideali, perché i soldi ingenuamente versati a loro nome da genitori, nonni ecc. resteranno bloccati sotto il controllo di altri per oltre mezzo secolo con un’assenza di trasparenza pressoché totale. Una pacchia per gestori, amministratori ecc. rispetto ai fondi comuni dove invece il risparmiatore può uscire quando vuole (bisognerà proibirglielo!).
Pure alcuni fondi pensione chiusi offrono da un po’ la possibilità di aprire posizioni intestate a minorenni, purché familiari a carico del lavoratore, che viene allettato anche dalla deducibilità Irpef dei versamenti. La carta vincente dei venditori di fondi pensione e piani individuali previdenziali (pip) è infatti quella fiscale. Così Fondosanità strombazza che “i benefici fiscali per chi aderisce sono consistenti”, mentre dal canto suo il sindacato dietro il fondo Previndai decanta pubblicamente le meraviglie per chi iscrive i propri bambini.
In effetti per essi non c’è peggior regalo per diverse ragioni, fra cui soprattutto due. Primo, perché bisognerebbe credere che tutti i banchieri, gli assicuratori, i gestori, i sindacalisti ecc. che hanno e che avranno voce in capitolo in fondi pensione e pip, siano e saranno sempre persone di un’onesta adamantina. Davvero un’incrollabile fiducia nella bontà della natura umana!
Ma c’è un secondo motivo, sistematicamente taciuto per non dispiacere all’industria parassitaria del risparmio gestito. La convenienza fiscale decresce col diminuire dell’età. Massima per un ultra sessantenne, è minima per un neonato.
Illude infatti il mero dato contabile dell’imposta deducibile, per cui in un anno con redditi sopra i 75 mila euro i versamenti per un minore possono abbattere di circa 2.200 euro l’Irpef dovuta. Conta invece il saldo annuo della fiscalità meno i costi di fondi e pip. Così iscrivendo il figlio neonato o piccolissimo, si prospettano perdite medie dello 0,4% coi fondi aperti e addirittura dell’1% annuo coi pip. Coi fondi chiusi apparirebbe un modesto saldo positivo, ma i dati pubblicati sono poco affidabili. È però innanzi tutto per il primo motivo che va rifiutata “la costruzione del cosiddetto secondo pilastro fin dalla culla”, come la presenta con toni deamicisiani il Sole 24 Ore. Anziché dare sicurezza, provoca un senso di soffocamento l’idea di propri risparmi sotto sequestro fino al 2080. Anzi, oltre il 2100 se prima o poi diventerà obbligatoria la conversione in rendita del capitale finale.