Cosa capiterà alle pensioni degli italiani, se l’inflazione continua ai livelli degli ultimi mesi poco sotto il 4% e, soprattutto, se aumenterà? Predire se gli aumenti dei prezzi stiano o meno per finire è impresa ardua nella quale non ci cimenteremo. Più facile e comunque utile è prevedere, almeno in certi ambiti, le ricadute di un’eventuale alta inflazione.
Per le pensioni pubbliche agisce una norma di recupero automatico della perdita di potere d’acquisto, cui si aggiunge di fatto una tutela politica. Qualunque governo non resta inattivo, se l’inflazione falcidia il sostentamento di milioni di cittadini. Invece è molto difficile valutare le prospettive degli enti di previdenza dei lavoratori autonomi, anche per la loro scarsissima trasparenza.
Esse sono però chiare e preoccupanti per i cosiddetti secondo e terzo pilastro: polizze, fondi e piani previdenziali. Abbiamo infatti a disposizione sia i loro regolamenti o statuti, sia un precedente concreto e molto significativo: il periodo di alta inflazione dal 1973 al 1985 quando in Italia la moneta perse l’84% del proprio valore.
Diciamo subito che il passato fa spavento. Già negli anni ’70 esistevano formule di previdenza integrativa. Erano le assicurazioni che garantivano una rendita o un capitale all’età della pensione, offerte con caratteristiche pressoché identiche dalle diverse compagnie. Con la fiammata inflattiva fu un bagno di sangue. Prendiamo per esempio un 36-enne che nel 1968 sottoscrisse una polizza e ne versò regolarmente i premi. Alla scadenza del contratto a sessant’anni si ritrovò con una perdita in potere d’acquisto del 67%. Una pensione di scorta ridotta a un terzo.
Sono fatti acclarati, noti agli esperti, ma tenuti nascosti a risparmiatori e lavoratori, per continuare indisturbati a guadagnare rifilandogli polizze, fondi pensione e roba simile. I quali sono tutti strumenti privi di tutele nei confronti dell’inflazione, una cui impennata causerebbe facilmente e inevitabilmente perdite pesantissime per gli interessati, in un modo o nell’altro. Anche i comparti chiamati “garantiti” dei fondi pensione lo sono solo in termini monetari, mentre mancano comparti specifici per l’investimento in titoli a indicizzazione reale.
Conclusioni operative: chi vuole evitare i rischi peggiori per il proprio risparmio previdenziale, interrompa ogni versamento in polizze previdenziali, fondi pensione e pip. Riscatti inoltre quanto più può, indirizzando i suoi risparmi verso impieghi agganciati all’inflazione di emittenti sicuri: titoli pubblici reali anche non italiani, il buono fruttifero postale Obiettivo 65 ecc.
Validissimo anche il Tfr, non per nulla introdotto in pieno periodo di alta inflazione nel 1982, e pensato proprio in modo da tenerle testa. Non ha invece vie di fuga chi lo ha destinato alla previdenza integrativa, intrappolato in una scelta irrevocabile. In guardia quindi dal silenzio-assenso!