La Repubblica (16-04-2012, Affari & Finanza, p. 18)
Alcuni risparmiatori non si schiodano dagli investimenti a breve: Bot, pronti contro termine, conti deposito ecc. Non in previsione di esigenze di liquidità, ma per una radicata avversione verso ogni impiego di maggior durata, spesso frutto di dolorose bruciature. Peccato che ciò possa condurre a perdite, più o meno sensibili, o ad accettare vincoli alquanto inopportuni.
Il problema sono i tassi d'interesse cosiddetti monetari, da qualche anno generalmente negativi in termini reali, cioè al netto della perdita del potere d'acquisto della moneta. Lo confermano quelli dei Bot nello scorso biennio. Coi titoli a dodici mesi sottoscritti all'ultima asta prima d'inizio 2010 o rispettivamente 2011, dopo un anno ci si è trovati meno ricchi di prima (vedi grafico). Negli ultimi mesi la situazione si è poi ingarbugliata: un risparmiatore che prenota Bot non sa cosa gli toccherà. Gli sono stati assegnati titoli con un rendimento sul 5% nominale a dicembre, dello 0,9% a marzo, del 2,2% qualche giorno fa, sempre al netto di tasse e spese. Paradossalmente l'ottimismo congiura contro di lui: coi Bot di marzo è quasi certo perderci in potere d'acquisto, proprio perché la crisi finanziaria sembrava superata.
Accettando titoli più lunghi, se ne trovano facilmente che difendono più o meno bene dall'inflazione. Ma volendo restare sul breve? Certo che non ci sono solo i Bot, ma alcune alternative sono ancora peggiori e altre nascondono insidie.
Pronti contro termine (pct). Si tratta di prestiti alle banche, che rientrano in pieno nella prima categoria. Inventati per aggirare l'aliquota fiscale più alta, prima del 27% e ora del 20%, hanno solo difetti. È quasi certo perderci in termini reali, dati i rendimenti nominali nell'ordine dell'1-1,5%. Non sono coperti dal fondo di tutela dei depositi, ma soprattutto tengono ingabbiati i soldi per pochi o molti mesi, per la gioia delle banche e per il danno degli investitori.
Conti deposito. Per sperare di battere l'inflazione, bisogna ormai accettare depositi vincolati, che sono una bella seccatura. Si potrebbe anche provare a fare i cosiddetti mercenari, come in banca chiamano chi rincorre di volta in volta le offerte speciali per i nuovi clienti di Conto Arancio, Banco di Santander, Ibl, Chebanca ecc. Ma non è detto che basti: con la Banca Centrale Europea che presta denaro all'1% agli istituti di credito è probabile che i tassi sui conti deposito scenderanno parecchio.
Certificati e simili. Per chi poi vuole darsi la zappa sui piedi, c'è un prodotto di Banca Intesa-Sanpaolo battezzato Buono di Risparmio, di cui va molto fiera, tanto d'averlo proposto anche a me. Chi accetta il vincolo di un anno riceve un fantasmagorico 1,32% netto, che solo con una bella faccia tosta può essere spacciato per "un tasso d'interesse conveniente". Ho cercato fra le offerte di pari durata dei vari conti deposito di Banca Ifis, Ing Direct, Webank, Banca Ibl, Santander, Barclays, Rendimax ecc. ma non ho trovato nessuno che offrisse così poco.
Altre banche hanno riesumato i certificati di deposito. Vedi la Banca Popolare di Spoleto che ne offre a dieci mesi al 5% lordo su base annua, che è pur sempre un 4% netto. Sarà sufficiente a coprire l'inflazione? Non è sicuro, ma certo enormemente più probabile che coi titoli di Intesa-Sanpaolo.
Pare che tali certificati eludano l'imposta di bollo, perché vengono consegnati materialmente senza un deposito amministrato e l'emittente si guarda bene dall'inviare comunicazioni durante la loro (breve) vita. Magari sarà così, conseguenza dell'ipocrisia di Giulio Tremonti prima e di Mario Monti poi, che hanno gabellato per imposta di bollo quella che è una patrimoniale, seppure leggera. Però può anche darsi che pure tale scappatoia venga eliminata.
Buoni fruttiferi postali. Può stupire, ma la sola soluzione che garantisca di non perderci nei confronti dell'inflazione, senza prendersi in carico titoli lunghi, si trova fra i buoni delle Poste. La durata decennale di quelli indicizzati all'inflazione è un vincolo solo per l'emittente. Il risparmiatore può riscattarli ogni momento e passati 18 mesi gli viene riconosciuta l'inflazione registrata, maggiorata dell'1% (lordo). Una protezione egregia del valore reale della somma investita, grazie anche alla tassazione ridotta del 12,5%.