Di sicuro la cosa appare assurda a chi non segue il mondo della finanza; e non si può dargli torto. Vengono infatti proposti investimenti che già in partenza è scritto che saranno in perdita. Ciò vale, da alcuni anni a questa parte, per tutti o quasi i titoli di Stato emessi dalla Germania, dalla Finlandia ecc. e spesso anche per i Bot. Sono cioè emessi con un rendimento negativo. Chi li sottoscrive riceverà indietro meno soldi di quanti ne presta. Come dare in noleggio un’automobile e dover corrispondere un canone… a chi la usa.
A monte c’è la politica monetaria della Banca Centrale Europea nei confronti della liquidità depositata presso di essa da banche dell’eurozona: dal giugno 2014 non solo non corrisponde interessi, ma addirittura ne addebita. Operativamente però la domanda è: che senso ha sottoscrivere o comprare titoli a rendimento negativo (già) in termini nominali?
Se parliamo di Titoli del Tesoro, potrebbe aver senso al massimo per chi voglia scommettere di rivenderli dopo pochissimo a un prezzo più alto. Ma per un risparmiatore non ha nessun senso. Se uno è preoccupato di tenere i soldi sul conto in banca, ci sono i buoni fruttiferi postali che sono molto meglio. Fruttano interessi magari striminziti ma non nulli; e in realtà neanche così miseri con la serie BFP 170° CDP, cioè l’1% annuo se tenuti per quattro anni. Sono garantiti dallo Stato e non capita neppure di ritirare meno di quanto versato per gli oneri fiscali.
Qualche senso invece c’è coi titoli di Stato dei tedeschi, i quali potranno pure risultare antipatici ma rispettano fin troppo la parola data. Chi vuole la sicurezza, può accettare di rimetterci qualcosa come l’1% in un anno, già solo in termini nominali. Cioè può preferire una contenuta erosione del proprio capitale, pur di non rischiare una perdita ben maggiore (il 30%, il 40%?) in caso di default dello Stato italiano, della banca o altro emittente.
Diverso il discorso per gli investitori istituzionali. Molti fondi comuni hanno nel regolamento un limite percentuale alla liquidità, per es. il 20%, o devono pagare alla banca depositaria interessi negativi sulle giacenze sul conto. Per essi non esiste l’alternativa del deposito a rendimento (almeno) nullo.
Un privato che si gestisce direttamente i propri risparmi, dispone poi di un’opzione che manca al risparmio gestito. Può trasformare la liquidità in contanti, al sicuro da fallimenti di banche ed emettenti dei titoli. Il gestore di un fondo comune o pensione, di una gestione separata assicurativa ecc. non può farlo.
Beppe Scienza