Articolo sul Fatto Quotidiano del 12-10-2016 a pag. 18
Si torna a discutere di un'uscita dell'Italia dall'euro (Alberto Bagnai sul Fatto Quotidiano del 5-10-2016) o addirittura di una sua sostituzione con un Euro 1 e un Euro 2, rispettivamente per i paesi del Nord e del Sud Europa (Joseph Stiglitz in un suo recente libro). Si registrano poi posizioni di forze politiche contro l'euro (Lega Nord) o per un referendum sul medesimo (M5S).
Ma tutti tali discorsi e proposte trascurano una questione cruciale. Diciamo pure ineludibile. Io non sono un economista, sono un matematico finanziario, che però vive e opera nel mondo dei soldi, non nell'iperuranio delle discussioni accademiche. Non entro perciò nel merito se in astratto sarebbe preferibile essere fuori della moneta unica, quanto salirebbe l'inflazione, cosa capiterebbe al Pil ecc., né tanto meno come funzionerebbe l'attuale eurozona con due monete distinte. La moneta unica c'è, l'Italia ne fa parte e da questo bisogna partire. Altrimenti il dibattito resta sulla luna, mentre io vorrei riportarlo sulla terra.
Verso l'alto o verso il basso. Un Paese non esce dall'euro, come un socio dal circolo degli scacchi. Neanche come il Regno Unito uscirà dall'Unione Europea. Piaccia o non piaccia, è molto peggio. C'è da attendersi un processo devastante, salvo che sia uno Stato come la Germania a sbattere la porta, come propugnava Aktion für Deutschland (AfD), quando con Bernd Lucke questo era il suo primo obiettivo. Dall'euro si può uscire dall'alto o dal basso. La Germania uscirebbe dall'alto, cioè con forti attese di rivalutazione della nuova moneta. Così è tutto facile, almeno per i rapporti fra governanti e cittadini. Questi si affretterebbero a versare in banca tutti i contanti che hanno, per vederseli cambiare nella nuova valuta. Così capitò nel 1990, allorché la cosiddetta Ostmark della Germania Orientale venne convertita nella Deutsche Mark. Una certa analogia si può vedere anche con la stessa nascita della Deutsche Mark, quando il 21 giugno 1948 la Reichsmark, moneta del Terzo Reich non millenario, venne sostituita dalla nuova valuta, in misura per altro contingentata.
L'Italia uscirebbe invece verso il basso. Ciò è fuori discussione: l'argomento più citato a favore del ritorno alla lira è proprio la possibilità di svalutazioni (non di rivalutazioni!).
Il precedente della Grecia. Non ci sono solo ragionevoli previsioni a priori su cosa capiterebbe. C'è anche un'esperienza concreta. In Grecia, soprattutto nel 2014-15, bastò la percezione di un possibile il ritorno alla dracma, per altro mai proposto ufficialmente dal governo, per produrre effetti devastanti: prelievi massicci di contanti in banca, trasferimenti di capitali all'estero in modo lecito o illecito, smobilizzo e quindi crollo dei titoli di Stato, problemi di cassa per la finanza pubblica ecc. Tutto ciò accompagnato, tanto per dirne una, da mancanza di soldi per gli ospedali, con conseguenze che è facile immaginare.
I greci, con l'acqua alla gola, accettarono quindi misure molto dure senza neanche tante proteste, pur di non tornare davvero alla dracma. Per bloccare il deflusso di denaro furono prima chiuse le banche per 20 giorni e poi introdotti e sono tuttora in vigore i c.d. capital controls: tetto di 60 euro al giorno per i prelievi in contanti, fortissime restrizioni per i pagamenti all'estero e per gli stessi assegni ecc. In mezzo c'è poi qualcuno più furbo degli italiani. Che dire infatti per esempio di un centro medico ateniese che propone bellamente uno sconto, se pagato sul nero su un conto a Singapore? A Roma non capita.
Prospettive per l'Italia. Stranamente tutto ciò è ignorato o taciuto, proprio da chi propugna il ritorno alla lira. Isolato se non unico è il commento di Lorenzo Codogno, già direttore generale del Tesoro, che afferma: “Finché è un dibattito tra accademici non accade nulla, ma appena l’ipotesi [di uscita dall'euro] venisse anche lontanamente presa in considerazione da qualche politico [...] si scatenerebbero corse agli sportelli e, a cascata, i default di debiti sovrani e privati” (Fatto Quotidiano, 11-9-2016).
Una volta presentata una specifica proposta di legge sul ritorno alla lira, con prospettive di approvazione, la frittata è fatta. Gli italiani correrebbero a prelevare i loro risparmi in banconote in euro, per preservarne il valore prima del passaggio alla nuova-vecchia divisa. Analogo discorso per mezza Europa, nella strampalata prospettiva dell'Euro 1 e Euro 2, termini che riserverei alla classifica ecologica degli automezzi. Né appare realistica la soluzione di proibire preventivamente i contanti e ogni trasferimento all'estero.
L'euro non è eterno. Certo che l'euro può finire. Anzi, come tutte le umane cose finirà, in tempi e modi ora però difficilmente immaginabili. Il punto è un altro.
Chi propone l'uscita dall'euro, deve fornire almeno uno straccio di piano operativo per affrontare il periodo transitorio, visto che in un paese democratico essa non può venire imposta in una notte. Appena s'incominciasse a prenderla seriamente in considerazione, tutto fa supporre che in Italia verrebbe proiettato lo stesso film, girato in Grecia. A fronte del disastro scatenato, come potrebbe il governo non deflettere dalla sua decisione? E cercare di raccogliere e rincollare i cocci?