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Il risparmio tradito ® a cura di Beppe Scienza
Perché evitare risparmio gestito e previdenza integrativa

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La destinazione del TFR: un modello di simulazione

Pubblicato venerdì 8 aprile 2011

TESI DI LAUREA del candidato Livio Nervo, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTÀ DI ECONOMIA - anno Accademico 2009-2010 - Relatore: Prof. Giovanna Nicodano - Correlatore: Prof. Beppe Scienza

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO - FACOLTÀ DI ECONOMIA
CORSO DI LAUREA IN FINANZA AZIENDALE E MERCATI FINANZIARI

Introduzione

Negli ultimi vent’anni la tematica del risparmio previdenziale ha assunto grande rilevanza anche in Italia, non più solo in paesi come gli Stati Uniti in cui la materia è oggetto di studi da molto tempo. Il crescente interesse è dovuto al fatto che il sistema pensionistico italiano è stato oggetto di un processo di riforma resosi necessario a causa dell’enorme deficit pubblico derivante principalmente dal debito previdenziale. Le varie leggi che si sono susseguite dalla riforma Amato del 1992 avevano come obiettivo il contenimento di una spesa per pensioni in continuo aumento, soprattutto per l’innalzamento della speranza di vita della popolazione. Il risultato di questo processo è stato una riduzione delle prestazioni garantite dal sistema pensionistico pubblico e contemporaneamente l’incentivo allo sviluppo della previdenza complementare. E’ stato deciso dunque di costituire uno schema multi pilastro, che affianca al sistema pubblico cosiddetto a ripartizione uno privato a capitalizzazione, la previdenza integrativa. Il tema delle scelte nell’ambito del risparmio per la pensione è diventato quindi sempre più importante poiché grava maggiormente sul singolo individuo.

Ad acuire questo fenomeno è intervenuta la riforma della previdenza complementare del 2005, il cui scopo è quello di dare un definitivo impulso al settore, dopo gli scarsi risultati degli interventi precedenti. Grazie a questa riforma i lavoratori dipendenti del settore privato sono stati posti di fronte alla scelta sulla destinazione del loro Trattamento di Fine Rapporto (TFR) maturando. In particolare è stato introdotto l’obbligo di scegliere tra mantenere il TFR futuro presso il datore di lavoro oppure destinarlo alle forme pensionistiche complementari. Tale decisione ha riguardato i lavoratori occupati al 1° gennaio del 2007 e coinvolge ogni neoassunto a partire da quella data. Sicuramente è una scelta non semplice ed immediata, sia a causa del livello medio di educazione finanziaria delle famiglie italiane, sia per il fatto che deve essere effettuata in sei mesi. Inoltre la scelta può influenzare in modo determinante il livello di risparmio previdenziale dei soggetti interessati e la loro ricchezza pensionistica, infatti l’adesione alle forme complementari non è revocabile e quindi non è possibile riportare in seguito il TFR presso il datore di lavoro.

Nei mesi precedenti l’entrata in vigore della riforma, su tutti gli organi di informazione, sono stati molti i consigli e le opinioni forniti da esperti, giornalisti economici e operatori del settore; anche nel periodo successivo al gennaio 2007 è nato un dibattito sulla bontà e sugli effetti dei provvedimenti attuati. Ovviamente fino ad oggi continua ad essere pubblicato materiale che analizza i vari aspetti della riforma e che spesso consiglia i lavoratori riguardo alla scelta migliore. Ciò accade poiché coloro che non hanno aderito inizialmente ai fondi pensione hanno ancora la possibilità di farlo e perché è una decisione che riguarda ogni neoassunto. Tra le analisi più significative sul tema vi è quella effettuata dalla società di consulenza Progetica, apparsa sul giornale Milano Finanza in un articolo in cui si sostiene che “grazie al fisco il fondo pensione batte sempre il TFR”. Il mio lavoro si propone, tramite un modello di simulazione, di effettuare un’analisi indipendente sulla scelta più conveniente riguardo alla destinazione del TFR, cercando quindi anche di capire se l’affermazione riportata nell’articolo è sempre valida.

Contrariamente agli studi presenti in letteratura, la simulazione è stata effettuata senza determinare a priori il rendimento dei fondi pensione, anzi, il rendimento è un output del modello. Siccome è difficile prevedere le performance di lungo periodo delle forme pensionistiche, il rendimento è considerato l’obiettivo minimo che deve centrare il fondo pensione per pareggiare la prestazione più prevedibile del TFR. Si è deciso quindi di valutare la convenienza relativa tra fondo e TFR alla luce di altri parametri, quali gli anni di distanza dal pensionamento ed il reddito dei lavoratori. Inoltre il modello realizzato cerca di tener conto di tutti i fattori principali che dovrebbero essere considerati da un individuo nel momento in cui compie la scelta sul proprio TFR futuro. Tra questi si tratta in particolare l’aspetto fiscale, il contributo del datore di lavoro e l’incidenza dei costi.

La prima sezione del presente lavoro è dedicata allo studio del sistema pensionistico italiano e delle forme di previdenza complementare. In particolare si presenta la riforma del 2005 in modo da mostrare le opportunità a disposizione dei lavoratori e comprendere quali sono gli elementi che influenzano la scelta sul TFR.

Nel secondo capitolo vengono analizzati uno ad uno i fattori che guidano la decisione dell’individuo e che vanno pesati all’interno del processo decisionale. L’analisi, ove possibile, è sempre effettuata con riferimento al lungo periodo in quanto è l’ottica più conforme al sistema previdenziale. Ad esempio, nel trattare i benefici fiscali introdotti dalla riforma, non si è calcolato solamente il vantaggio riferito al singolo anno, ma gli effetti sono stati valutati su archi temporali più estesi. Come si vedrà, è possibile che le considerazioni cambino quando i fattori sono studiati sull’intero orizzonte lavorativo di un soggetto. Sempre con riferimento all’aspetto fiscale, i montanti finali del fondo pensione e del TFR sono tassati solo per la parte che equivale alla somma dei versamenti effettuati nel tempo, quindi il periodo considerato è fondamentale per quantificare il vero beneficio. Lo stesso approccio è stato utilizzato nell’analisi del profilo rischio-rendimento, del contributo del datore di lavoro e dell’importanza dei costi delle diverse forme pensionistiche.

Nel terzo capitolo, infine, i fattori studiati singolarmente confluiscono in un modello con il quale si simula l’andamento del TFR dal momento in cui l’individuo compie la scelta fino al pensionamento. La simulazione è realizzata per tre tipologie di lavoratori, il giovane, l’adulto e l’anziano, che si distinguono per gli anni che mancano alla pensione nell’istante in cui si trovano di fronte alla decisione. Il modello è implementato per diversi scenari di reddito e dinamiche retributive all’interno dei quali si confronta la rivalutazione del TFR sia con il fondo pensione aperto, sia col fondo negoziale. Il tentativo è di giungere ad un giudizio sulla maggior convenienza tra mantenere il TFR presso il datore di lavoro oppure destinarlo alla previdenza complementare, tenendo conto di tutte le variabili che influenzano la scelta. Nonostante si sia cercato di mantenere delle ipotesi quanto più possibile vicine alla realtà, le simulazioni e le valutazioni di lungo periodo sono limitate dal fatto che su orizzonti temporali estesi possono intervenire molti cambiamenti, soprattutto a livello normativo, che potrebbero modificare i risultati del presente lavoro.

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