Articolo sul Fatto Quotidiano del 18-5-2016 a pag. 16
La Banca Popolare di Vicenza è stata salvata, almeno per ora. Ma è saltata la prevista quotazione in Borsa. Ciò ha una spiacevole conseguenza, probabilmente sfuggita ai più.
Prendiamo infatti un risparmiatore che si ritrova delle azioni sul groppone, perché a Bruno Vespa la banca le ha ricomprate e a lui invece no. Non solo gli è impossibile racimolare qualche spicciolo, liquidandole a un ipotetico prezzo fra 0,10 e un centesimo, dopo averle pagate per esempio 62 euro. Gli è pure precluso il recupero di 16 euro per azione, ovvero del 26% della perdita, a fronte di successivi guadagni di Borsa. Non potendole vendere, non può neppure avvalersi della normativa fiscale sulle rendite (e srendite) finanziarie.
Né purtroppo è la sola iniquità in tema di cosiddetti capital gain (o capital loss, nel caso di perdite). Un'altra, quasi mai rilevata, discende dal modo con cui la Banca d'Italia ha gestito la risoluzione, ovvero in pratica il fallimento, dei quattro istituti di credito di Etruria, Marche, Ferrara e Chieti. Essa ha azzerato il valore nominale delle obbligazioni scelte per il sacrificio. Ma tale modalità innovativa impedisce di avvalersi della perdita subita, al fine di compensare auspicabili plusvalenze, e quindi di riportare a casa il 26% di essa con tale meccanismo.
Ci fu una dichiarazione del sottosegretario Enrico Zanetti, che prefigurò un recupero addirittura tramite un vero e proprio credito d'imposta nella dichiarazione dei redditi, slegato da ogni altro investimento finanziario. Ma nulla si è concretizzato, in particolare per chi resterà fuori dai rimborsi automatici e dagli arbitrati.
Purtroppo viene in mente un precedente non italiano, ma comunque di cattivo auspicio. Quando la Grecia fallì nel 2012, esponenti del governo ellenico annunciarono una compensazione delle perdite dei risparmiatori analogamente tramite crediti d'imposta. Anche quella promessa non venne mantenuta.
Beppe Scienza