All’Italia servono riforme, parola magica. Andrea Resti dell’università Bocconi ne ha chieste recentemente due per la legge sull’usura bancaria. Peccato che si sia limitato a rilievi secondari. Riprendendo l’immagine evangelica, ha additato due pagliuzze, ignorando la presenza di due travi.
Non rientra certo fra le storture più gravi della normativa il fatto che il tasso massimo d’interesse consentito sia uguale per un cattivo pagatore o per un debitore corretto. Né che la giurisprudenza non applichi sempre la stessa formula per valutare la sussistenza del reato. Che sono i punti toccati da Resti.
Altri sarebbero quelli su cui intervenire, ma dirlo al popolino darebbe fastidio alle banche e le persone di mondo non sono così maleducate. Io invece sì.
Innanzi tutto c’è il fatto che la formula per la soglia di usura non comprende fra le sue variabili il costo del denaro. Così nel terzo trimestre 2000 il tasso ufficiale di riferimento della banca centrale, il vecchio tasso di sconto, era il 4,5% e vent’anni dopo lo 0%. Le soglie di usura sono scese in misura analoga? Macché! Per i crediti personali e assimilati nel 2000 essa scattava sopra il 16,65%, vent’anni dopo sopra il 16,04%. Una limatura minima. Il calo dei tassi ha regalato maggiori margini di guadagno alle banche, senza comprimere gli oneri dei debitori.
Ma c’è di peggio. Il sistema attuale permetterebbe di superare spensieratamente il 50% annuo per chi va in rosso sul conto, senza che tale tasso risulti usurario. L’ipotesi non è campata in aria.
È infatti proprio ciò che capiterebbe (o capiterà…) se le altre banche imitassero (imiteranno…) Intesa-Sanpaolo, che è pur sempre il primo istituto di credito italiano. Essa fissa infatti il tasso per chi va in rosso sul conto in funzione della soglia di usura in vigore. Così attualmente a un cliente senza fido addebita interessi del 20,73% annuo.
Se lo imitassero le altre banche, la normativa alzerebbe in automatico la soglia di usura e, a cascata, i correntisti in rosso pagherebbero il 26,35%. Il giochetto si ripeterebbe e in meno di due d’anni saremmo appunto sopra il 50% annuo, ovviamente salvo interventi ad hoc.
Tutto ciò fornisce un preoccupante insegnamento di validità generale. La legge alla base (n. 108 - 7 marzo 1996) è del governo di Lamberto Dini. Il che fa capire cosa può capitare quando il presidente del consiglio dei ministri ha un passato in Banca d’Italia.