Da parecchi anni le polizze vita rivalutabili sono uno dei chiodi fissi dei giornalisti in quota al risparmio gestito. Le consigliano in continuazione, presentandole come un investimento sicuro, stabile e redditizio. Vendute da Generali, Unipol, Banca Intesa, le Poste o altre società, sono agganciate alle cosiddette gestioni separate delle compagnie di assicurazioni e rivaleggiano coi fondi pensione per l’Oscar dell’investimento più opaco. Con un meccanismo privo appunto di trasparenza, da anni retrocedono ai clienti un rendimento dell’ordine del 1-2% lordo, senza le oscillazione di prezzo inevitabili coi titoli a reddito fisso.
Una redditività che appariva appetibile in tempi di tassi intorno allo zero. Sorvoliamo per brevità sul meccanismo scandaloso - e regolarmente taciuto - per cui i clienti già in essere venivano depauperati a vantaggio delle nuove sottoscrizioni. Lo denunciò solo il Fatto Quotidiano con l’articolo sulle “Polizze civetta che ingannano i vecchi clienti” dell’8-4-2019.
In ogni caso ora il giocattolo si è rotto, ma pochi se ne sono accorti e i fiancheggiatori del risparmio gestito logicamente evitano di mettere in guardia gli interessati.
A monte c’è la cosiddetta illusione finanziaria: il prestare o rispettivamente indirizzare l’attenzione dei risparmiatori ai soli importi nominali o monetari, distogliendola dal potere d’acquisto delle cifre in ballo. Negli ultimi dodici mesi le polizze in questione hanno continuato a offrire una rivalutazione magari anche poco sopra l’1,5% netto, che con un’inflazione sul 7,8% si traduce però in una perdita di valore sul 6% reale.
E il peggio può ancora arrivare. Che l’inflazione ritorni di brutto a valori bassissimi è tutto da vedere. Anzi, è pure possibile un forte aumento, essendo le vicende economiche sostanzialmente imprevedibili. In uno scenario sfavorevole le polizze rivalutabili continueranno a bruciare il 5, il 6, il 7 per cento l’anno; o anche peggio.
A chi non vuole rischiare coi propri risparmi, accantonati con un’ottica di medio-lungo termine, conviene riscattarle e spostare il ricavato in strumenti che garantiscano il potere d’acquisto. E qui sarò ripetitivo, perché le bugie sono tante, mentre la verità è una sola. I titoli di Stato in euro, italiani o esteri, indicizzati al costo della vita sono gli strumenti che strutturalmente tutelano il potere d’acquisto delle somme investite. Quindi Btp Italia, Btp-i, Bund-ei o anche, per chi ama la paella e il gazpacho, le Obligaciones-ei spagnole.
Comprandoli ci si assicura un certo risultato reale, comunque vada l’inflazione. Ma si può escludere che i sedicenti consulenti finanziari sappiano calcolarlo. Diciamo quindi che, pagandoli ai prezzi attuali, il rendimento al netto della perdita di potere d’acquisto è nell’ordine dell’1% annuo, imposte a parte, per Btp-i o Btp-Italia con scadenza sugli 8-10 anni. Troppo poco? Meglio perdere il 6%?
Beppe Scienza