Molti insulti, molto onore; e parecchi me ne arriveranno per questo articolo da quanti sistematicamente si arricchiscono a danno dei loro clienti. Sono 50 anni che bancari e sedicenti consulenti finanziari accalappiano i piccoli risparmiatori con una formula chiamata pac, piano di accumulo di capitale. Ovviamente di per sé non è sbagliato accantonare regolarmente risparmi, comportamento previdente del proverbiale buon padre o madre di famiglia. Col termine pac si intendono però specifici prodotti del risparmio gestito, sottoscrivendo i quali uno si impegna a versare periodicamente una certa cifra, per esempio 200 euro il mese per dieci anni, in un determinato fondo comune o altro contenitore: fondo pensione, etf o polizza. Comunque di una ben precisa società.
Molte sono le loro magagne. Per cominciare le commissioni micidiali sulle prime rate, pari anche all’80% delle somme versate. Sono andate avanti così per decenni, prima di venire ridotte. Altra magagna è il trasformismo alla Fregoli dei contenitori destinatari dei versamenti: uno sceglie per 20 anni un fondo azionario e questo prima diventa bilanciato e dopo magari qualcos’altro ancora. Non parliamo poi delle sostituzioni dei gestori e/o della società controllante. Insomma, gli cambiano impunemente le carte in tavola.
Ma il vizio di origine per cui i pac sono da bocciare di sana pianta è un altro. Nell’ambito delle decisioni un principio basilare è assumerle il più tardi possibile: più avanti si va col tempo, più si hanno informazioni. Non si decide ora un’escursione in montagna per il 18 luglio prossimo, ma il giorno prima se non la mattina stessa, in base al tempo.
È assurdo fare una scelta molto circostanziata, come investire in un ben determinato fondo comune o fondo pensione, a valere per anni e anni, anzi decenni. Non sappiamo come saremo messi dopo l’estate, figuriamo nel 2028 o nel 2035. Così per esempio dieci anni fa magari uno aveva sottoscritto un pac in un fondo monetario, sintonizzato su rendimenti del 3%; ora i suoi risparmi continuano a confluirvi, però con rendimenti attesi negativi.
Le organizzazioni di vendita sono specializzate nello sbandierare confronti artefatti, da cui appare la convenienza di tale formula d’investimento. E i giornali premurosamente li riportano nelle pagine di consigli, come fossero oro colato.
Benché non vincolino legalmente ai versamenti, i pac riescono a creare un automatismo. Cioè a intrappolare psicologicamente il cliente, per raschiargli via commissioni per un tempo lunghissimo. Convengono così tanto a chi li vende, che c’è una società (Fidelity) che sorteggia smartphone da 630 euro fra chi li sottoscrive.
Conclusione operativa, meglio dare subito disposizioni alla propria banca di sospendere i pac sottoscritti. Poi si vedrà.