Uno degli argomenti più usati a favore della previdenza integrativa è la sua redditività. La recente relazione per il 2020 della Covip, organo di vigilanza ma anche di propaganda, sbandiera performance superiori alla rivalutazione del Tfr. La stampa economica le ha fatto eco col solito impegno. Così c’è chi si lamenta che avrebbe incassato di più, se avesse trasferito il suo Tfr nel fondo pensione propostogli.
Non voglio nascondermi dietro a un dito ed entro nel merito della questione. Fondi pensioni, piani individuali e anche polizze previdenziali non sono da evitare per la prospettiva di rendimenti inferiori, bensì perché non rispondono a quelle esigenze di sicurezza che sono connaturate al risparmio previdenziale. In particolare perché espongono al rischio di perdite anche fortissime in caso di alta inflazione, come è già capitato.
Il senno del poi. Ovviamente si può anche avere fortuna, così per il 2020 la Covip riporta rendimenti netti sul 3% per i fondi pensione a fronte di un 1,2% per il Tfr. Ma l’anno scorso la crescita, seppure lorda, è stata in euro 11,8% per le azioni mondiali secondo l’indice Morgan-Stanley e 7,9% per i nostrani Btp.
È andata bene anche a parecchi che avevano aderito ai fondi pensione anni fa e sono riusciti a riscattare tutta la loro posizione nella previdenza integrativa. I 14 anni a partire dal 2007, inizio del silenzio assenso, sono stati un periodo d’oro. I due indici suddetti sono grosso modo raddoppiati: per la precisione +110% e +106% seppur lordi. Ma tutto ciò non cambia nulla per decisioni da prendere col senno del prima e non certo col senno del poi. I due indici potevano anche dimezzare. L’inflazione è scesa, ma poteva anche salire. Per giunta la crescita dei mercati azionari di per sé può proseguire, mentre per il comparto obbligazionario è giunta al capolinea per obiettivi vincoli matematico-finanziari.
Elogio della prudenza. Non solo ora è consigliabile impiegare il proprio risparmio previdenziale, forzoso o volontario, in formule che tutelino il potere d’acquisto. Quindi tenere il Tfr in azienda o all’Inps e investire in soluzioni difensive, fra cui spicca il buono postale Obiettivo 65. Ma anche in passato fu saggio comportarsi in modo analogo.
Un risparmiatore prudente, che faticosamente abbia accantonato ventimila euro, fa malissimo a destinarli a qualche gioco d’azzardo. E farebbe bene a non dare retta a gestori di sale giochi che gli additassero qualcuno che ha guadagnato coi cavalli o con le slot-machines.
Nel caso poi della previdenza integrativa si aggiungono le gravi magagne strutturali del settore: mancanza di trasparenza, facilità di malversazioni, costi occulti e vantaggi fiscali vanificati dai costi, limitandoci ai più gravi.
Beppe Scienza