Si presentano come liberi professionisti, alternativi alle banche e ai promotori, e godono di buona stampa. Ma cosa combinano in realtà moltissimi dei consulenti finanziari cosiddetti indipendenti o autonomi, ovvero non alle dipendenze di banche o reti porta a porta?
Per capirlo partiamo dagli Etf-Exchange Traded Fund, da un po’ di moda, ma non obbligatoriamente conosciuti da tutti. Si tratta di una sottocategoria di fondi comuni, che promettono d’investire in un certo settore (azioni italiane, obbligazioni in dollari ecc.) seguendo l’andamento del mercato con costi bassi. Un risparmiatore ne prende uno o più di uno e così implicitamente diversifica l’investimento, senza bisogno di rivolgersi ad altri.
In realtà presentano alcuni difetti, ma non è questo il punto. Torniamo piuttosto ai consulenti finanziari. Per il loro lavoro non è raro che chiedano qualcosa come l’1% l’anno del patrimonio da investire.
Vediamo il caso concreto di un mio lettore con 480 mila euro, rivoltosi a un’ex-bancaria. Per cominciare ha dovuto sganciarle anticipatamente cinquemila euro, arrotondati per eccesso. Dopo la consulente ha inserito nel computer l’ammontare del patrimonio con qualche dato sulla propensione al rischio. Ha fatto girare un programmino da quattro soldi, che ha sparato fuori un pot-pourri di otto Etf con quanto mettervi. Uno sulle azioni mondiali (7%), uno sulle azioni americane (10%), uno sulle obbligazioni in dollari (15%), un altro su titoli di Stato in euro (15%) e così via. Inoltre il 20% in un conto deposito, idea poco originale. Il tutto corredato da grafici che piacerebbero a un bambino perché variopinti. Per una prestazione simile erano ammissibili cento-duecento euro, certo non cinquemila.
Per fare scena e continuare a fatturare compensi esorbitanti, i consulenti ogni tanto fanno poi ridurre o aumentare la quota di questo o quell’Etf. Sono scelte prive di qualsiasi fondamento scientifico. Nel prevedere l’andamento dei mercati finanziari falliscono spesso i maggiori centri studi, figuriamoci se ci riesce un ex-bancario o ex-promotore.
È proprio l’impostazione stessa che è ridicola. Un esperto di investimenti deve analizzare e confrontare i singoli titoli. Deve consigliare impieghi specifici, non contenitori altrui, addossando al cliente le loro commissioni di gestione in aggiunta alla propria parcella, addirittura superiore. Invece, dei tantissimi consulenti che ho conosciuto o di cui mi hanno riferito, sono più unici che rari quanti sanno analizzare per esempio un titolo anti-inflazione. Più facile rifilare prodotti preconfezionati, con competenza e fatica minime. In tali casi la decisione da prendere è semplice: troncare il rapporto e smettere di regalargli soldi.
Purtroppo vale per la consulenza indipendente come per l’educazione finanziaria: un’idea di partenza valida viene distorta a danno dei risparmiatori italiani.
Beppe Scienza