il Fatto Quotidiano del 19-12-2018 pag. 17
Quasi in sordina è uscito l’annuale aggiornamento dell’indagine sui fondi comuni dell’ufficio studi di Mediobanca: Dati di 1308 fondi e sicav italiani (1984-2017). È la 27a edizione della ricerca, uscita la prima volta nel 1992 per iniziativa di Fulvio Coltorti allora a capo del centro di ricerca, ora docente all’Università Cattolica di Milano.
L’opera è ponderosa e con l’aggiunta quest’anno delle performance, ovvero dei rendimenti, anche per i singoli fondi dell’universo esaminato. Ma il confronto principe resta quello fra fondi comuni e Bot, presi come pietra di paragone in quanto investimento (quasi) senza rischio.
Le analisi elaborate e la metodologia non sono cambiate e i dati relativi al 2107 non modificano sostanzialmente i confronti. In sé l’anno è andato benino per i fondi con un dato modestamente positivo (+2,2%), per altro già annullato e ribaltato in negativo coi primi dieci mesi del 2018. Ma anche fermandosi alla fine dell’anno scorso, non vi sono grandi sorprese: i dati resi pubblici di per sé forniscono solo conferme a brutte cose già note. Brutte per gli sventurati clienti del risparmio gestito.
Le novità sono nello stile, nelle parole, nei documenti divulgativi ecc. con cui la ricerca è stata presentata. Non vi si legge più che il risparmio gestito “distrugge ricchezza” o espressioni analoghe, tutte rigorosamente vere. Dove ovviamente con distruzione di ricchezza si intende che essa viene sottratta ai risparmiatori per arricchire venditori, gestori e i gruppi bancari e/o assicurativi che li controllano. Al contrario viene dato risalto al confronto Bot-fondi comuni sui 15 anni, questa volta eccezionalmente positivo.
Le sole testate ad ampia diffusione ad aver riferito sulla ricerca, ovvero il Corriere della Sera e il Sole 24 Ore, si sono così potute prodigare a decantare per l’ennesima volta il risparmio gestito. E si sono guardate bene dal sollevare obiezioni o porre domande. Noi invece lo faremo e alle domande daremo risposta.
Perché la presentazione di Mediobanca della ricerca non estende il confronto a un periodo più tondo, in particolare 20 anni? Ma soprattutto perché quest’anno nella presentazione della ricerca non appare più il confronto fra i Bot e i fondi italiani, da quando esistono, ovvero dal 1984? Questo è il confronto classico che Mediobanca evidenzia dalla prima edizione della ricerca. C’era ancora l’anno scorso e quest’anno invece no. Curioso, vero? Non è un problema di spazio, perché la “Tab. 1 - Fondi comuni aperti: rendimenti al netto d'imposte” è rimasta nella nuova edizione, ma le colonne sono più distanziate per riempire la pagina, tolto il confronto “dalla nascita” dei fondi di diritto italiano. Provvediamo quindi noi a riportare tale comparazione, grazie proprio ai dati di Mediobanca (vedi tabella).
Scopriamo così che resta pesantemente negativo il risultato di lungo termine: dal 1984 un 432% per i risparmi gestiti rispetto al +497% ottenuto coi banalissimi Bot. Analogo discorso sui 20 anni, ovvero il periodo 1998-2017: +43% col fondi, +55% coi Bot.
periodo | rendimento totale | minus dei fondi | |
---|---|---|---|
fondi | Bot | ||
Dalla nascita dei fondi comuni italiani 1984-2017 | 432% | 497% | -65% |
Ultimi 20 anni 1998-2017 | 43% | 55% | -12% |
Elaborazioni su dati dell'Ufficio Studi di Mediobanca.
* Definizione ripresa dalle precedenti presentazioni degli stessi confronti da parte di Mediobanca.
La fortuna dell’industria parassitaria del risparmio gestito è purtroppo che, nella sua interezza, la preziosa indagine sui fondi di Mediobanca resta sconosciuta ai diretti interessati, cioè ai risparmiatori. E i giornali che ne parlano, di regola lo fanno ad usum Delphini.
Beppe Scienza