Il Fatto Quotidiano del 02-12-2015 a pag. 16
Più si scava, più vengono fuori le storture e le trappole del cosiddetto salvataggio di Banca Marche, Popolare dell'Etruria, CariFerrara e CariChieti. Non solo i risparmiatori hanno motivo per accusare la Banca d'Italia per le scelte fatte, massacrati dall'azzeramento di titoli rifilatigli in un passato anche lontano e spesso invendibili. Anche alcuni banchieri hanno molto da ridire. In particolare nel caso di istituti di credito medio-piccoli con molta attività di intermediazione e gestione e pochi prestiti, magari per giunta concessi oculatamente e quindi a basso rischio.
Così al Fatto Quotidiano è arrivato lo sfogo dell'amministratore delegato di una banca con 5 miliardi di raccolta, costretto per cominciare a versare subito al Fondo Nazionale di Risoluzione circa 1,2 milioni di euro, che conta di non rivedere mai più. Non si aspetta infatti nulla di buono dalla quaterna di "banche buone" dove sono stati messi la raccolta, gli sportelli, l'avviamento ecc. delle vecchie quattro, fatte a pezzi. Chi controllerà davvero tali società, messe nel fondo e furbamente valutate una miseria?
"Saranno le grosse banche italiane in combutta con Banca d'Italia a decidere cosa fare", sbotta il piccolo banchiere. Potranno scegliere per esempio di distribuire un po' di sportelli alle grosse banche: Intesa, Unicredit, Ubi Banca, Banco Popolare ecc. Magari cedendoli a un tozzo di pane. A lui poi, con una piccola banca al nord, sportelli nel Centro Italia non interesserebbero neppure. Oppure, volendo aiutare un qualche istituto in difficoltà, potrebbero dargli in pasto una delle quattro banche buone, con clientela e nessun debito. Magari tramite uno scambio di azioni, per cui nel fondo di risoluzione non entrerebbe neppure un quattrino.
"Io sono solo un passeggero a bordo", conclude amaramente. E intanto già a breve, finiti i soldi del fondo di risoluzione, si aspetta di essere obbligato a versarne altri per i prossimi crac. Pardon, "salvataggi".