La storia non comincia qua, ma due anni fa col tiro mancino a danno dei risparmiatori italiani da parte del Governo Meloni, che di fatto quadruplicò l’imposta sull’oro da investimento. Fino a fine 2023 era il 6,5% del ricavato della vendita di monete o lingotti, in assenza di documentazione del cosiddetto prezzo di carico. Dal 2024 invece è il 26%. Gioielli, medaglie, monete numismatiche ecc. restavano e restano fuori del discorso.
La norma è vessatoria in un duplice senso. Per il futuro pregiudica la possibilità dell’oro di difendere dall’inflazione, come dimostro matematicamente nel libro “Oro, bene rifugio o trappola?” fra poco in libreria. Per il passato va a colpire impieghi compiuti in ottica prudenziale e non speculativa, a partire dai marenghi o sterline regalati a neonati. Addirittura si sono dovute pagare tasse a fronte di perdite reali, perché non conta averci guadagnato o perso in potere d’acquisto. Prima del 2024 non era così, ma adesso i risparmiatori italiani sono trattati peggio dei tedeschi, francesi, svizzeri ecc.
Però all’Erario non basta incassare di più, vuole incassare in fretta. Come dire? Pochi, maledetti e subito. Così hanno pensato a un emendamento alla Legge Finanziaria. Pagando una percentuale quale il 12,5% del valore a fine anno dell’oro posseduto, i conteggi fiscali ripartirebbero da quella data e quindi da 110 euro al grammo oppure 116, 120 ecc. o quant’altro sarà. Se l’oro sta fermo, uno lo potrà vendere senza pagare nulla di più. Se sale, l’imposta resta del 26% ma solo sull’ulteriore incremento di valore.
In sé la cosa non è assurda e si può vedere anche come una specie di correttivo di un’aliquota esosa. Il termine non è usato, ma in realtà si tratta di un cosiddetto affrancamento, normale per gli investimenti finanziari quando l’imposta aumenta. A rigore doveva essere permesso già a fine 2023 e con l’aliquota del 6,5%, applicabile di fatto fino ad allora.
Difficilissimo stimare l’oro posseduto dagli italiani, accumulato dalle famiglie nei decenni se non secoli, spesso non dichiarato in successione, tenuto in casa, cassetti di sicurezza ecc. Circolano numeri come 5.000 tonnellate, non dissimili dalle 8.000 tonnellate per la Germania (vedi Der Spiegel n. 7-2025), senza nessun riferimento affidabile.
Quante adesioni sono prevedibili, se l’opzione verrà veramente offerta ai possessori di metallo giallo? Per valutare se al singolo converrà aderire, bisognerà conoscere i dettagli. Si possono però escludere adesioni plebiscitarie per una serie di motivi. Per cominciare sono sicure soltanto quelle che al fisco proprio non convengono, cioè di chi è già intenzionato a vendere comunque oro posseduto. Così pagherà solo 12,5% anziché 26% e l’Erario incasserà di meno. Verranno presentate come un successo, ma in realtà saranno un danno per la casse pubbliche.
Per il resto un anziano con eredi difficilmente aderirà, perché con la successione il prezzo di carico viene aggiornato senza versare il 26% e spesso senza pagare nulla. Anche nel caso delle monete auree più diffuse, molti continueranno a venderle, magari un po’ alla volta, senza farsi tanti problemi. Sotto i 2.500 euro la vendita non è segnalata all’Agenzia delle Entrate, per cui il rischio di essere scoperti è quasi nullo.
Per importi significativi vale un altro discorso, radicale. L’oro permette di avere e magari di trasferire una riserva di valore anonima e non tracciata, quanto e anche più dei contanti. Anche se acquisita in modo del tutto lecito, si può essere certi che pochissimi accetteranno di evidenziarla, di fatto comunicandone il possesso al fisco. Aderire alla possibilità di tassazione ridotta, attualmente in discussione, implicherebbe anche questo. Vista la fame di denaro dell’Erario, uno si chiede se non sarà poi costretto a dichiarare l’oro posseduto. D’altro canto è già così non tanto a Cuba, in Cina ecc., ma nella capitalistica Svizzera e non per i capitali clandestini, ma per gli svizzeri stessi, anche se poi la fiscalità è minima, paragonabile all’imposta di bollo italiana.
Beppe Scienza


