È in corso una scalata di Borsa di una banca (Unicredit) che intende inglobarne un’altra (Banco BPM), coi rispettivi amministratori che ora si guardano in cagnesco. La prima propone agli azionisti della seconda di scambiare le loro azioni con propri titoli in un determinato rapporto numerico. Ogni risparmiatore deciderà a suo giudizio se accettare o meno l’offerta, per quelle che ha in portafoglio, e non entriamo nel merito di tale scelta.
I problemi sorgono per chi ne possiede indirettamente, cioè quale cliente di un fondo comune. Questa come altre situazioni analoghe danno facilmente adito a conflitti di interessi. La faccenda è un po’ complicata, ma merita approfondire, perché la sua rilevanza va oltre il caso specifico.
Il punto è che, come spiega Marco Vinciguerra, consulente e attento osservatore dei mercati finanziari: “È normale che una banca o altra società finanziaria possa decidere su azioni di proprie concorrenti, possedute in particolare tramite fondi comuni. In altri settori non è così: Volkswagen non ha voce in capitolo su azioni di Toyota, né Ford su Stellantis e così via”.
La differenza discende dall’ingombrante ruolo assunto nella finanza dal risparmio gestito. In casi simili potrà finire che le decisioni che contano dipendano da chi personalmente non ha comprato nessuna azione, ma le ha fatte acquistare da fondi comuni, Etf, fondi pensione o assicurazioni che gestisce. In particolare risulta dalla banca dati Bloomberg che Crédit Agricole ha in pancia il 19% delle azioni di Banco BPM, tanto da apparire come primo azionista. Ma ce l’ha tramite fondi gestiti in particolare da Amundi, che appare sbilanciata sul versante Unicredit cui è legata da accordi commerciali per la vendita dei propri prodotti, mentre non ha gli stessi rapporti col Banco BPM.
Amundi possiede azioni di quest’ultimo soprattutto in Etf, ovvero fondi cosiddetti passivi che replicano un indice di Borsa. In tali casi avere quelle azioni non dipende neppure da consapevoli scelte d’investimento, ma da un automatismo per adeguare il portafoglio agli indici di riferimento. Commenta Vinciguerra: “Il fondo ha un bell’essere passivo. A fronte di una offerta sulle azioni il gestore diventa per forza attivo e decide una cosa o l’altra”.
La crescita elefantiaca del risparmio gestito fa sì che in casi simili la partita venga giocata coi soldi di altri, cioè dei risparmiatori. Ovviamente si può pensare che tutti siano onesti e in particolare nel mondo della finanza nessuno sia meno che integerrimo. Ma si può anche non crederlo.
Allora perché mai il gestore del fondo dovrebbe fare gli interessi dei risparmiatori e non quelli di altri? In particolare dei suoi superiori o al limite di chi gli paga una tangente? In ogni caso nessuno gli chiederà mai conto del suo operato. Infatti il cliente del fondo non potrà mai scoprire nulla, data la mancanza di trasparenza di tali strumenti.