Libero Mercato, 18-12-2007 p. 1 e p. 6
Il bond Infrastrutture 2019 che rende il 2,25% reale non è quotato in Italia. E le banche lo boicottano.
Rigidità burocratica, pigrizia o addirittura connivenza coi banchieri? Difficile stabilire perché il Tesoro non si curi di facilitare l'accesso dei risparmiatori italiani al suo titolo più adatto a fornire una valida tutela nei confronti dell'inflazione, che proprio ora ha rialzato la testa.
Pochissimi infatti lo sanno, ma il menu del Tesoro si è recentemente arricchito di un nuovo piatto. Ciò è avvenuto per caso a conclusione di una complessa serie di vicende, che inizia nel 2004 con vari prestiti, e uno in particolare da 750 milioni di euro, per il finanziamento di tratte ferroviarie ad alta velocità. Essi furono emessi da Infrastrutture spa (detta anche Ispa), società subentrata in qualche modo all'Anas, di cui i risparmiatori meno giovani forse ricordano le vecchie Crediop-Anas 1972-2002 7%.
Poi però Infrastrutture è stata incorporata nella Cassa di Depositi e Prestiti, successivamente lo Stato s'è accollato tali emissioni e infine il 20-9-2007 l'assemblea degli obbligazionisti ha sancito le relative modifiche dei regolamenti.
Conclusione: le Infrastrutture 2019 2,25% sono ora un titolo del debito pubblico a tutti gli effetti. Il bello è che sono un titolo reale, cioè legato a prezzi di beni e/o servizi, con però una significativa differenza rispetto ai più noti Buoni del tesoro poliennali indicizzati (Btp-i). Mentre questi ultimi sono agganciati ai prezzi dell'area dell'euro, le Infrastrutture lo sono al costo della vita in Italia. È vero che l'inflazione italiana, in passato superiore all'europea, ora è più bassa. Ma come regola è più prudente indicizzarsi a quella del paese dove si vive.
Ostruzionismo delle banche. Cosa c'è allora che non va? Il rifiuto sistematico delle banche italiane a procurare tali obbligazioni, che grazie alla loro redditività e sicurezza rappresentano una concorrenza spietata per i prodotti di seconda e terza scelta che esse vogliono (e spesso riescono a) sbolognare ai propri clienti. Ho infatti ricevuto decine di segnalazioni da risparmiatori che cozzano contro l'ostruzionismo della loro banca. L'ultima pochi giorni fa da un cliente della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo - Gruppo Intesa San Paolo – che prima s'è sentito rispondere che il taglio minimo è 50 mila euro (falso!), poi che non potevano vendergliele perché “l'obbligazione rientra nell'articolo 2412 del codice civile” (assurdo, perché tale articolo non c'entra nulla). Tali comportamenti indecenti sono facilitati dal fatto che le Infrastrutture 2,25% 2019 non sono quotate in Italia, cosa di cui il Tesoro non si preoccupa e a quanto pare neppure si rende conto.
Uno scambio di e-mail. Al riguardo merita riferire uno scambio di e-mail con una dirigente del Tesoro, cui ho cercato inutilmente di fare presente il problema. Costei prima mi ha ribattuto piccata che risulta dal “prospetto che tutti i titoli sono ammessi a quotazione presso la Borsa valori di Lussemburgo”. Alla mia obiezione che quella quotazione, di fatto fittizia, non conta nulla per un risparmiatore italiano, ha ribattuto seccamente che “questi titoli [sono] ormai disciplinati dalle norme del testo unico di debito pubblico e pertanto ammessi a quotazione ope legis”.
A questo punto ho rinunciato, perché la persona sicuramente è in buona fede e per giunta grande lavoratrice. A smentire la nomea che sotto la Linea Gotica e soprattutto nei ministeri si lavori poco, m'ha infatti sempre risposto prontamente e a una mia e-mail serale addirittura alle 6 e 30 del mattino successivo. Però evidentemente vive nel mondo della grande finanza internazionale e non si degna di posare i piedi per terra. Basta andare sul sito della Borsa Italiana per accorgersi che, ope legis o non ope legis, le Infrastrutture non ci sono. E basta chiedere alla propria banca di comprarle per accorgersi di come gira il mondo.
Sarebbe quindi ora che il Tesoro si decidesse a rendere le Infrastrutture 2,25% 2019 davvero acquistabili ai risparmiatori italiani, ottenendo che effettivamente siano quotate al Mot o all'Euromot. Così sarebbe un po' più difficile alle banche italiane raccontare le varie frottole che mi vengono riferite: che non esistono, che sono vietate a privati, che non si trovano, che il taglio minimo è sempre molto maggiore del quantitativo richiesto ecc.
Invece l'insensibilità del Tesoro nei confronti dei risparmiatori permette alle banche di approfittarne più facilmente, rifilandogli proprie obbligazioni scadenti. Sempre fra i titoli reali, si vedano per esempio le Banca Intesa 2014 (Isin IT0003724975), le Credem 2014 (Isin IT0003651186) ecc. logicamente scese di prezzo una volta quotate. O, peggio ancora, le San Paolo 2014 (Isin IT0003662092) quasi totalmente ricomprate dall'emittente (168 milioni sui 179 emessi) a prezzi sicuramente bassi senza nessuna trasparenza, in assenza di quotazione.
Critiche al Tesoro. I titoli del Tesoro (e anche della Cassa di Depositi e Prestiti) restano di regola fra i migliori investimenti a reddito fisso per un normale risparmiatore, ma ciò non toglie che alcune sue scelte e suoi atteggiamenti siano criticabili. Per cominciare lo è – e fin dall'inizio la criticai - la decisone di non offrire ai risparmiatori l'indicizzazione all'inflazione italiana, ma solo a quella europea. Infatti il Tesoro è lo Stato, che non ha solo il compito di approvvigionarsi purchessia del soldi che gli servono, cercando di pagare il meno possibile d'interessi, magari anche raggirando chi glieli presta. Questa è l'impostazione tipica di un soggetto privato e le banche italiane sono particolarmente esperte nel conseguire tali obiettivi e in particolare il secondo.
Lo Stato deve anche mirare a offrire soluzioni per l'impiego dei risparmi che siano eque e rispondano alle esigenze del cosiddetto buon padre di famiglia. Obbediva a tale impostazione l'emissione, per altro tardiva e isolata, dei Certificati del Tesoro Reali 2,5% 1983-93, come quella dal 1969 in poi dei Bundesschatzbriefe da parte del Tesoro tedesco o a partire dal 1998 delle OATi in Francia, indicizzate all'inflazione appunto francese. Queste ultime in particolare testimoniano una sensibilità alle esigenze dei propri cittadini maggiore che in Italia, dove però le colpe non sono certo solo dei dirigenti ministeriali, ma anche degli stessi ministri succedutisi nel corso degli anni e del legislatore stesso.
Difficoltà con l'inflazione. Forse a monte di tali comportamenti c'è anche una generale ignoranza dei meccanismi e delle implicazioni dell'inflazione riguardo al risparmio. D'altronde essa si ritrova anche in altezzose testate giornalistiche, come pure in grosse società industriali. Per esempio il Sole 24 Ore in tema d'inflazione è solito inanellare uno strafalcione dopo l'altro, come è documentato ne “Il risparmio tradito” e nel mio sito Internet. Né vuole abbandonare tale abitudine, come dimostra Marco Liera scrivendo che un rendimento netto dei Bot di quasi due punti sopra l'inflazione tendenziale “è un'opportunità offerta ai risparmiatori che contrasta un po' la teoria finanziaria e con la tradizione dei mercati” (Plus24, 12-5-2007, p. 1). Lasciamo perdere di chiederci che teoria egli abbia in testa, ma certo è clamorosamente sbagliato vedere un contrasto con la tradizione dei mercati. Nei 25 anni (un quarto di secolo!) dal 1982 al 2006 il rendimento annuo netto dei Bot è stato mediamente superiore del 2,9% all'inflazione tendenziale e solo due volte leggermente negativo. Ma l'ignoranza in materia finanziaria, endemica nella popolazione dei giornalisti economici italiani, è diffusa anche nelle aziende. Si veda il comunicato stampa del 24-10-2007 di Terna, società corporate, tra le quotate e le non quotate, che fa una emissione inflation linkedcorporate Ma soprattutto si tratta di una vanteria infondata. Infatti fino a prova contraria era una società, per giunta quotata, anche la Montedison, che emise due tranche di titoli reali. Si tratta delle cosiddette Montedison Vita 1983-88, indicizzate proprio allo stesso indice Istat delle Terna 2023 (codice Isin XS0328430003). Che per altro non erano titoli disprezzabili all'emissione, né lo sono ora a prezzi un pochino inferiori a 100. Peccato che anch'esse non siano quotate in Italia e il quantitativo minimo acquistabile sia 50 mila euro.
L'obbligazione Infrastrutture 2,25% 2019
La struttura dell'obbligazione è simile a quella dei Buoni del Tesoro Poliennali indicizzati (Btp-i), che a sua volta hanno ripreso quella delle francesi Oat-i. Il valore nominale cresce (o scende!) in parallelo all'inflazione di riferimento. Dando per esempio un ordine per comprare 1.000 euro, a causa della rivalutazione già avvenuta, di fatto si compra un valore nominale che è attualmente pari a circa 1.080 euro, cui va aggiunto il rateo d'interesse. Maggiori dettagli sul meccanismo, effettivamente complicato, si trovano nel sito del Dipartimento di Matematica dell'Università di Torino all'indirizzo: www.beppescienza.it
titolo: Infrastrutture (Ispa) 2019 2,25%
codice Isin: IT0003621452
tasso facciale d'interesse: 2,25% lordo annuo
scadenza cedole: 31 luglio
rimborso finale: 31 luglio 2019
rimborso anticipato: no
meccanismo di indicizzazione: gli interessi sono il 2,25% del capitale rivalutato quanto i prezzi al consumo in Italia; anche il rimborso sarà pari al capitale rivalutato
garanzia: Repubblica Italiana
prezzi indicativi di metà dicembre 2007: 100,3 – 101,1
rendimento a scadenza, con l'inflazione ipotizzata al 2,4%: circa 4,6% annuo lordo, pari a 1,6% al netto delle imposte e della perdita di potere d'acquisto del capitale investito
quotate in Italia: no
borsa di quotazione (non operativa): Lussemburgo
mercato di trattazione: euromercato
taglio minimo: 1.000 euro
coefficiente di indicizzazione: circa 1,08 a metà dicembre 2007
acquistabile da privati: all'emissione no, ora sì, senza nessuna limitazione