Articolo sul Fatto Quotidiano del 27-11-2017 pag. 18
I crac di quattro banche nel 2015, di due quest’anno e quello sfiorato del Monte dei Paschi preoccupano i risparmiatori. In gran parte a torto. Altri sono i pericoli che ora corrono, altri i modi per portargli via soldi. Le banche italiane non rifilano più proprie azioni a prezzi gonfiati od obbligazioni subordinate. Addirittura preferiscono non fare più le banche, cioè raccogliere denaro da prestare a tassi più alti.
Glielo consiglia pubblicamente anche la Banca d’Italia, che per inciso non impedì i collocamenti delle azioni poi azzerate. Il suo direttore generale, Salvatore Rossi, il 6-11-2017 ha esortato il sistema bancario italiano a “essere meno banca tradizionale che raccoglie risparmio […] e più banca che fa gestione del risparmio”. Un invito all’arrembaggio dei patrimoni dei clienti, inimmaginabile da parte della banca centrale tedesca. Comunque un’operazione già in atto. Proprio l’indomani Banca Intesa annunciava che arrivava dal risparmio gestito oltre la metà del risultato dei primi nove mesi dell’anno.
Se è pericoloso dare denaro alle banche, comprando loro titoli, lo è anche affidargli i propri soldi. Cosa cambia fra trovarsi un ventesimo dei propri risparmi in fumo, perché in azioni di una banca fallita, oppure averli in un giardinetto di fondi e pagare un 5% medio fra commissioni, provvigioni, costi, spese ecc.? Se c’è una differenza, è in peggio: nel primo caso uno se n’accorge, nel secondo spesso no.
Il 5% è una percentuale esagerata? Semmai è il contrario, visto che da varie ricerche sui costi e oneri a carico dell’investimento per esempio in fondi azionari risulta un’incidenza nell’ordine del 23-25% complessivo per gli ultimi dieci anni: tutti soldi sottratti ai risparmiatori.
E come è possibile che a cosiddetti consulenti che cambiano banca, quella dove approdano gli offra fino al 3% dei conti che portano con sé? Ciò implica che dai patrimoni trasferiti la nuova banca preleverà, in un modo o nell’altro, quelle cifre e ovviamente anche altre.
Che dire poi di contratti per investimenti che prevedono un 4-5% per chi volesse disinvestire dopo un anno? Certo che un risparmiatore accorto non dovrebbe mai firmare l’impegno a pagare un riscatto, per potersi riprendere i propri soldi. Ciò che rovina molti risparmiatori è la (residua) fiducia nella banca o nella Posta, che invece deve venire meno del tutto. Nell’ambito dei soldi l’approccio giusto non è la fiducia, bensì la diffidenza.