Il Tesoro spinge molto una nuova tipologia di emissioni, sottoscrivibili solo dai risparmiatori. Presenta infatti i Btp Futura quali «titoli di Stato nati con l’obiettivo di supportare l’economia nazionale». Sorvoliamo sul ridicolo “supportare” al posto di “sostenere”, molto peggio è che Davide Iacovoni, capo del debito pubblico italiano, abbia dichiarato a Radio24 che essi sono «più immunizzati rispetto alle oscillazioni dei tassi di interesse di mercato». Una pura vanteria, perché in caso di risalita dei tassi d’interesse sono esposti a crolli alla stregua di altri titoli di pari durata finanziaria.
Vedi in particolare i Btp Futura 2021-37 precipitati intorno ai 75 euro ogni 100 euro investiti (-25%). Né la cosa stupisce chiunque conosca la materia. Non per nulla un mio post nel blog del Fatto Quotidiano si intitolava: “Bel nome, poco rendimento e parecchio rischio”.
Tutto ciò mal si concilia con l’art. 47 della Costituzione che impone di tutelare il risparmio. Merita anzi chiedersi in generale cosa faccia il Tesoro in tal senso. Nella fattispecie nulla o quasi. Fa invece cosa utile quando emette quei Btp che proteggono dalle perdite di potere d’acquisto della moneta. Cioè i Btp-i e in particolare i Btp Italia, indicizzati proprio all’inflazione italiana. Però da due anni latitano le nuove emissioni di questi ultimi. Ai tempi del ministro Giulio Tremonti, il Tesoro addirittura si ricomprò obbligazioni e azioni dell’Alitalia, per abbattere le perdite dei piccoli risparmiatori.
Ma purtroppo c’è altro: lo Stato interviene sistematicamente nell’ambito del risparmio, ma in maniera perversa. Abbuona o riduce imposte, ma non per promuovere in generale comportamenti prudenti e previdenti, bensì per aiutare banche, società di gestione, assicurazioni e fondi pensione a piazzare il loro prodotti. Solo in apparenza va incontro a chi investe, tramite sconti e abbuoni fiscali. Di fatto fornisce ottimi specchietti per le allodole per accalappiare i risparmiatori, che spessissimo a conti fatti ci rimettono, ottenendo meno che facendo da sé. Di regola i costi, manifesti e occulti, non solo azzerano i tanto sbandierati vantaggi fiscali, ma portano il saldo decisamente in negativo.
Fin dall’introduzione dell’Irpef nel 1974, le lobby di banche e assicurazioni hanno saputo indirizzare governi e parlamentari affinché ogni vantaggio fiscale fosse subordinato all’adesione al sistema parassitario del risparmio gestito e della previdenza integrativa.
Chi difende i risparmiatori, italiani o eventualmente stranieri, più che il Tesoro è la Cassa Depositi e Prestiti (CDP), le cui offerte li tutelano da vari punti di vista: rimborso garantito sempre senza nessuna perdita nominale, a volte formule indicizzate all’inflazione, in tutti i casi assenza di spese di sottoscrizione o riscatto.
Beppe Scienza