Qualcosa gira storto nelle linee garantite della previdenza integrativa, cioè quelle destinate ai lavoratori che vi finiscono dentro senza averla scelta.
Tali linee sono una delle tante indecenze dei fondi pensione, ma non per i motivi che in genere vengono addotti. Da qualche anno esse sono infatti oggetto di attacchi virulenti, di recente intensificatisi. Sarebbero costose, poco efficienti e priverebbero i lavoratori dei guadagni offerti dalle linee d’investimento più rischiose. Secondo il Sole 24 Ore molti non aderirebbero ai fondi pensione addirittura per colpa di esse e non perché hanno mangiato la foglia e ne stanno quindi alla larga. Sono critiche pretestuose, dettate dall’industria del risparmio gestito che vuole avere le mani libere nel gestire i soldi dei lavoratori.
In realtà il discorso è da capovolgere. Le linee cosiddette garantite non sono da abolire, ma al contrario da modificare imponendogli di rispettare la stessa riforma del Tfr e della previdenza integrativa, entrata in vigore col 2007. Per chi finiva nei fondi pensione per silenzio-assenso, la legge prevedeva infatti fin dall’inizio una forte tutela nei termini di una «linea tale da garantire […] rendimenti comparabili al tasso di rivalutazione del Tfr» (D. Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, art. 8 comma 9).
Parole al vento. Benché espresso in modo chiarissimo e pienamente condivisibile, il principio fu subito calpestato. Tali linee non sono mai state come richiesto dalla legge.
Cosa capitò infatti già nel 2007 col Tfr dirottato d’ufficio nella previdenza integrativa? Finì in linee d’investimento che garantivano un rendimento del 2% annuo, ma solo in termini nominali. Mancava ogni protezione del potere d’acquisto, presente invece nel meccanismo di rivalutazione del Tfr. Per giunta anche quel rendimento positivo minimo venne poi cancellato, sempre col tacito assenso di sindacati, economisti di regime e giornalisti al seguito.
In ogni caso mancava e manca sempre un’indicizzazione all’inflazione, indispensabile per avere «rendimenti comparabili al tasso di rivalutazione del Tfr». Né si tratta di una questione nominalistica, ma sostanziale. Le linee garantite non assicurano nessuna protezione del potere d’acquisto dei soldi investiti, come invece fa il Tfr. Vediamo infatti cosa capitò in particolare a fronte di un’inflazione dell’11,3% nel 2022. Le garanzie previste per tali linee non tennero conto in nessuna misura di essa, mostrando di essere garanzie di cartapesta. Il Tfr invece si rivalutò del 10%, che è già qualcosa! Viceversa ad esempio il comparto «Tfr Silente» del fondo pensione Cometa, previsto per i casi di silenzio-assenso, accusò una perdita del 13,4% nominale, pari al -22,2% reale. Ulteriore conferma che affidare denaro buono al risparmio gestito è come consegnare un’automobile nuova a uno sfasciacarrozze. Io lo sconsiglio.
Beppe Scienza