Vivere (aprile 2010 p. 69), mensile delle Edizioni San Paolo.
Sono prodotti poco trasparenti e conti alla mano hanno reso meno dei titoli di Stato. Secondo Mediobanca tra il 1984 e il 2007 i rendimenti di lungo periodo di questi strumenti sono stati mediamente inferiori a quelli dei Bot a 12 mesi. Ecco perché è meglio evitarli!
I fondi comuni di investimento sono stati introdotti in Italia nel 1984. Esistono quindi ormai da oltre un quarto di secolo. Peccato che abbiano sempre reso regolarmente meno nei mercati finanziari dove hanno investito. Addirittura meno dei tanto vituperati Bot, come testimoniano i dettagliati rapporti dell’Ufficio studi di Mediobanca. Potrebbe stupire quindi che, dopo vari anni in cui molti clienti abbandonavano i fondi, oggi ci sia un’inversione di tendenza. Nel dicembre scorso vi è stato un saldo positivo di 1,6 miliardi di euro fra somme investite e riscattate. Perché così tanti risparmiatori affidano ancora i loro soldi ai fondi comuni, a dispetto di ripetute prove di inefficienza? Due sono le spiegazioni fondamentali di tale comportamento, di fatto autolesionista. In primo luogo gioca l’abilità di venditori senza scrupoli che sanno nascondere i dati negativi e offrire, a parole, garanzie prive di riscontro nei prospetti informativi, che però quasi nessuno legge. Infatti, quasi sempre ci si fida dell’impiegato della banca, delle Poste o del promotore finanziario. I risparmiatori sono poi manipolati da un’informazione che sovente sconfina nella pura e semplice pubblicità. Al di là dei rendimenti, che qualche rara volta possono anche risultare soddisfacenti, conviene stare alla larga dai fondi, e più in generale dal risparmio gestito, perché si tratta di prodotti poco trasparenti.
A parte poter conoscere ogni giorno il valore della quota del fondo, non posso sapere cosa davvero viene fatto con i miei soldi: che titoli il gestore compra, a che prezzi, quando li rivende, a che prezzi eccetera. È come se l’amministratore del mio condominio ogni anno comunicasse il totale di tutte le spese, rifiutandosi di specificare quanto dovuto per il riscaldamento, quanto per la pulizia delle scale... e senza portare mai nessun documento giustificativo. Anche sui cosiddetti fondi etici sono molto scettico. Magari, per fare un esempio, non investono in fabbriche di armi, però i meccanismi restano gli stessi e i rischi di irregolarità pure. Purtroppo il discorso è generale. Non dico che i controlli della Banca d’Italia e della Consob siano inutili, ma i modi per aggirarli sono tantissimi. Comunque la si metta, è innegabile che con i fondi comuni subire danni è la regola.
Il mio consiglio per chi ha soldi nei fondi è quindi molto semplice: disinvestirli e impiegare da sé i propri risparmi. Per esempio, comprando titoli di Stato o Buoni fruttiferi postali indicizzati all’inflazione. Oppure, rischiando di più, acquistare direttamente anche un po’ di obbligazioni o azioni. L’importante è che siamo noi a decidere cosa comprare e cosa no; quando rivendere un titolo e quando no. Solo così sapremo dove esattamente sono investiti i nostri quattrini.
Testo raccolto da Eugenio Arcidiacono
Secondo Mediobanca tra il 1984 e il 2007 i rendimenti di lungo periodo di questi strumenti sono stati mediamente inferiori a quelli dei Bot a 12 mesi