Articolo su Il Fatto Quotidiano del 9 ottobre 2013 a pag. 14
Un anno fa Banca Intesa addebitava il 20,42% ai piccoli correntisti andati in rosso. Evidentemente troppo poco, visto che ora pagano invece un elegante 22,22%.
Eppure i saggi d'interesse non sono saliti, con l'euribor vicino allo 0,2%. Quindi come la mettiamo? Il problema è (anche) nella definizione di usura. Nel trimestre scorso per gli scoperti senza affidamento (fino a 1.500 euro), ovvero per chi ha un imprevisto saldo negativo sul conto corrente, si è pagato mediamente il 16,22% su base annua. Per legge, perché adesso ci sia usura, bisogna superare questo tasso di otto punti percentuali.
Quindi stando sotto al 24,22%, si è a posto. E furbescamente l'anno scorso Intesa comunicò che avrebbe addebitato di volta in volta il tasso soglia dell'usura, diminuito del 2%.
Ora il punto non è tanto che Banca Intesa sprema i suoi clienti come limoni, perché questa è la sua filosofia aziendale, quanto gli effetti perversi di una stortura della legge sull'usura del 1996, solo stemperata due anni fa (d.l. 13-5-2011, n. 70).
Cosa capita infatti se molte altre banche si allineano al primo istituto di credito italiano, cosa plausibile visto che la mela marcia imputridisce le mele sane e non viceversa? Il tasso medio tende al 22%. Ma in tal caso il trimestre dopo la soglia per l'usura passa al 30%. Al che ai correntisti verrebbe addebitato lecitamente il 28% e così via.
Analogo discorso per altri finanziamenti. Già ora non è considerato usurario un 18,9% per i crediti personali, un 18,2% per la cessione del quinto dello stipendio, un 25% per le carte di credito revolving ecc. Per la cronaca le banche ottengono soldi dalla Banca Centrale Europea allo 0,5%.
Con la normativa vigente basta un accordo anche tacito fra banche e finanziarie, per far salire progressivamente le soglie per il reato di usura e poter così applicare interessi sempre più alti, senza violare nessuna la legge.
L'errore (o l'imbroglio) è stato porre un automatismo nella definizione di usura. Gli automatismi in finanza sono sempre una soluzione facile ma illusoria: fa bene a evitarli l'investitore, ma dovrebbe evitarli anche il legislatore.